Tra le soluzioni per il riscaldamento offerte da caldaie a metano, pompe di calore, caldaie a legna e pellet, c’è una soluzione che, in sordina, grazie alle sue peculiari caratteristiche, si sta pian piano conquistando una sua fetta di mercato. Parliamo del sempre più diffuso uso di stufe, caminetti con fiamma alimentata dal “bioetanolo”, un alcool che, ricavato dalla fermentazione della barbabietola o della canna da zucchero, può essere utilizzato come combustibile per le auto, ma anche per gli impianti di riscaldamento.
Ma come si spiega l’inatteso successo di questi apparecchi che, ad oggi, raggiungono potenze di 3,5 kW e possono scaldare ambienti di anche di 70 o 80 metri cubi?
Un vantaggio è senza dubbio la semplicità del prodotto: un serbatoio, uno “stoppino” in schiuma di ceramica, un sistema di accensione della fiamma e, a seconda dei modelli e delle potenze, un ventilatore per distribuire il calore. Così pochi componenti si traducono in un prezzo al dettaglio decisamente contenuto, che si attesta in generale al di sotto dei 500 euro. Si aggiunga che l’acquisto di questi prodotti rientra anche nelle detrazioni fiscali del 50% per le ristrutturazioni edilizie e la convenienza risulta lampante.
La principale ragione del successo degli apparecchi di riscaldamento alimentati a bioetanolo è però sicuramente il fatto che non hanno bisogno di una canna fumaria, potendo rilasciare i fumi della combustione direttamente all’interno della stanza. Questo grazie alla composizione della molecola ed alla sua dimensione che, essendo molto ridotta, consente un’ottima miscelazione con l’ossigeno. Questo fa sì che bruciando, almeno in teoria, non si sprigionino incombusti o altre sostanze dannose per la salute, ma solamente anidride carbonica (biossido di carbonio) e acqua, entrambi inodori e non tossici.
Attenzione però a trarre conclusioni affrettate, perché, bisogna pur sempre ricordare che una fiamma arde grazie all'ossigeno presente nell'ambiente circostante. Risultato? Nell’aria la percentuale di questo prezioso componente diminuisce, mentre aumenta quella dell’anidride carbonica. Anche nel caso delle stufe a bioetanolo quindi, specie nel caso di utilizzo prolungato, bisogna sempre garantire un adeguato riciclo d'aria dell'ambiente, ed evitare l'utilizzo delle stesse in ambienti troppo piccoli o comunque poco aerati, in modo da non rischiare malori dovuti alla carenza di ossigeno.
A questo si aggiunga il fatto che, sebbene, nelle condizioni ideali, la combustione dell’etanolo produce solo acqua e biossido di carbonio, nelle condizioni reali si possono non raggiungere i livelli necessari di temperatura e rimescolamento aria-combustibile. Se ciò accade, particelle di carbonio possono restare non combuste, creando particolato, o combuste solo parzialmente, con la formazione del tossico monossido di carbonio, o, ancora, parti della molecola dell’alcol potrebbero ricombinarsi fra loro, producendo composti come la formaldeide. Insomma, un mix di sostanze tossiche che, seppur in quantità estremamente ridotte, non risulta certo piacevole respirare. Per questo motivo gli stessi produttori di stufe mettono in guardia contro il far funzionare i loro prodotti in ambienti troppo piccoli e troppo a lungo senza cambiare aria.
La produzione di acqua potrebbe inoltre costituire un problema, in quanto fa aumentare l’umidità e può quindi favorire la crescita di muffe, che, a loro volta, rendono l’aria insalubre. Da quanto visto sin’ora però, bisogna ammettere che, per quanto riguarda le stufe ad etanolo, le problematiche di questo tipo sono un fenomeno è relativamente limitato.
In ultimo è doverosa un’analisi dei costi e, per farla, confrontiamo l’etanolo con il pellet, l’altro combustibile “verde” attualmente più utilizzato. Il potere calorifico del primo è nettamente superiore, essendo di circa 5100 kCal/litro, mentre quello del secondo è circa 4500 kCal/kg. Quest’ultimo però ha un prezzo indicativo d 0,25 €/kg, contro i 2 €/litro del bioetanolo. Ipotizzando quindi di dover scaldare un appartamento di 70 mq in zona D, servirebbero circa 1370 litri di bioetanolo, con 2740 euro di spesa, o 1550 chili di pellet, a un costo di circa 388 euro. Una differenza a dir poco considerevole.
Sia per questioni economiche, sia di sicurezza legata all’evacuazione dei fumi, una stufa a bioetanolo rappresenta insomma una possibilità molto comoda per chi vuole aggiungere del riscaldamento ulteriore alla propria abitazione, per stemperare il freddo in qualche fresca serata di primavera o magari riscaldare ambienti poco abitati sprovvisti di riscaldamento, ma non può attualmente essere utilizzata come unica fonte di riscaldamento.
Ing. Alfero Daniele
Collaboratore tecnico
Professional Team