AZOTO E PEROVSKITE: LA COPPIA VINCENTE DEL FOTOVOLTAICO

Oggi, praticamente tutte le celle solari commerciali sono costituite da sottili fette in silicio cristallino, il cui grado di purezza deve essere molto elevato. Per ottenerlo è necessario un processo ad alta intensità energetica, che richiede temperature superiori ai 1.000 gradi Celsius e l’utilizzo di grandi quantità di solventi chimici pericolosi. Questo è il motivo per cui i costi dei pannelli fotovoltaici, per quanto diminuiti col passare del tempo, restano comunque elevati.

La soluzione, ovviamente, potrebbe essere quella di individuare metodi di produzione alternativi, che consentano processi meno impegnativi a livello economico o, e questa sembra l’alternativa più probabile, abbandonare il silicio, sostanza rara e dal prezzo elevato, e creare pannelli fotovoltaici con nuovi materiali. Tra le alternative, una delle più promettenti è sicuramente la perovskite, di cui vi abbiamo già parlato in alcuni articoli passati, ovvero un cristallo a basso costo, che si presenta sotto forma di inchiostro e può essere depositato su un apposito supporto con un processo simile alla stampa.

 

Il problema di questi pannelli fotovoltaici era inizialmente legato principalmente alle prestazioni, che risultavano troppe bassa rispetto ai costi di produzione. Negli ultimi anni ci sono stati però grandi sviluppi in questo senso, che hanno portato l’efficienza dei pannelli fino al 23,7%.

Rimane però un altro grande ostacolo alla diffusione di questa soluzione: la vita media dei pannelli, molto più breve rispetto agli omologhi in silicio.

Una soluzione in tal senso arriva oggi dall’Istituto di microelettronica e microsistemi del Consiglio nazionale delle ricerche di Catania, che ha studiato, in collaborazione con l’Istituto di nanotecnologia del Cnr di Lecce, un’interessante innovazione per il campo del fotovoltaico ibrido a Perovskite. L’idea alla base della nuova scoperta consiste nell’unione dell’azoto, molecola naturale ampiamente presente sul pianeta, alle strutture di perovskite che costituiscono le celle fotovoltaiche, così da stabilizzare la struttura della materiale e allungare la vita utile del pannello.

In base a quanto dichiarato dai responsabili del progetto, rispetto ad altre più complesse alternative esistenti nel panorama scientifico ed applicativo, l’infiltrazione di azoto nelle perovskiti consentirebbe inoltre di uniformare discrepanze di rendimento tra materiali prodotti nei diversi laboratori e di aumentare la resa in assorbimento dei fotoni durante il funzionamento sotto irraggiamento solare.

Una soluzione che comporta quindi vantaggi su due differenti fronti: la stabilizzazione della struttura atomica con il conseguente aumento della vita del pannello e l’aumento delle performances dei dispositivi, il tutto sfruttando le potenzialità molecola esistente in natura, da sperimentare presto nel mercato delle future tecnologie.