L'ora x della contabilizzazione del calore si avvicina e l'esigenza di un sicuro e condiviso metodo di ripartizione delle spese di riscaldamento si fa di giorno in giorno più pressante. Se infatti la metodologia indicata dalla legislazione vigente e contenuta all'interno della UNI 10200 risulta essere abbastanza completa, considerando, ai fini della determinazione delle spese, un'ampio ventaglio di casistiche, essa presenta ancora alcune lacune che dovranno presto essere colmate.
La metodologia di calcolo insita nell'attuale edizione della norma, richiede infatti delle integrazioni per quanto concerne gli edifici condominiali con unità immobiliari ad occupazione saltuaria, come ad esempio le case per vacanze o le seconde case. In queste abitazioni infatti, che in genere non sono abitate costantemente durante tutta la stagione di riscaldamento, la caldaia viene accesa solo occasionalmente, mentre per il resto del tempo resta spenta o mantenuta in antigelo a bassa temperatura.
Tuttavia, se nel condominio è presente anche un solo abitante, la sua presenza è sufficiente per far riscaldare buona parte della rete di distribuzione. Ne deriva che i consumi effettivi sono estremamente ridotti, mentre l'incidenza delle perdite di rete, che determinano la quota di calore involontario, tende ad aumentare. E l'aumento è tanto maggiore, tanti più sono gli appartamenti inutilizzati. In questa situazione il consumo involontario (ovvero le perdite del sistema), se calcolato preliminarmente mediante i criteri forniti dalla UNI 10200, potrebbe risultare superiore al consumo totale, determinando così consumi volontari negativi e ponendo il progettista di fronte ad un assurdo energetico.
Facciamo un esempio prendendo come modello un comune edificio con impianto a colonne montanti ed un medio isolamento. Supponendo che i calcoli eseguiti per il prospetto previsionale abbiano determinato un fabbisogno all'uscita del generatore di 20000 kWh, e che a consuntivo il calore prodotto sia di 18000 kWh (segno di un uso parsimonioso dell'impianto e sostanziale conferma del fabbisogno), si ricava che la quota fissa (nel nostro esempio 23%) del consumo involontario sia pari a 4600 kWh/anno (20000 kWh x 23/100), mentre la quota variabile è di 13400 kWh/anno (18000 kWh - 4600 kWh).
Se invece il calore prodotto dal generatore a consuntivo fosse, ad esempio, solo il 20% di quello previsto, pari quindi a 4000 kWh, si deve ritenere che l'edificio sia stato occupato parzialmente, in quanto la variazione rispetto alla previsione non può essere attribuita al solo andamento stagionale favorevole o all'uso parsimonioso dell'impianto. Seguendo la medesima procedura, si otterrebbe una quota fissa pari a 4600 kWh/anno (20000 kWh x 23/100) e una quota variabile pari a -600 kWh (4000 kWh - 4600 kWh). Ciò significherebbe che coloro che hanno consumato, anziché pagare, dovrebbero essere rimborsati da coloro che non hanno consumato.
Risulta evidente come sia necessario risolvere in qualche modo il problema. Ma come? La soluzione più ovvia è quella di distinguere le procedure in base al grado di occupazione di ciascun edificio, diversificandole in base al numero di seconde case presenti. Se però i pareri sono convergenti verso questo punto, non è così per la restante parte della procedura.
Il primo problema risulta essere la modalità di espressione del grado di occupazione. Uno dei metodi attualmente più accreditati è quello di utilizzare il rapporto tra il calore prodotto dal generatore a consuntivo e il fabbisogno calcolato nel prospetto previsionale. Sarebbe quindi possibile calcolare il consumo involontario secondo modalità differenti, a seconda che il grado di occupazione sia maggiore o minore di uno specifico valore di soglia. Tale valore potrebbe aggirarsi intorno all'80% dei consumi previsti, poiché una variazione del 20% dei consumi è compatibile con un andamento stagionale più o meno favorevole o con un uso dell'impianto più o meno parsimonioso. Sotto l'80% si può invece legittimamente presumere l'occupazione saltuaria.
Per procedere si possono poi valutare due differenti alternative. La prima punta a valorizzare l'unità di ripartizione, ossia ad assegnare un'unità energetica al singolo scatto, in modo da determinare il calore volontario. In questo modo si potrebbe calcolare la quota variabile sommando i consumi delle diverse unità immobiliari, mentre la quota fissa, determinato il calore totale prodotto dal generatore, si ricava per differenza. Sebbene, nel caso di contabilizzazione indiretta, si tratti di un uso improprio dei ripartitori, questo metodo permette una buona approssimazione.
La seconda alternativa invece punta a determinare le perdite effettive ipotizzando che varino in funzione del grado di occupazione. Moltiplicando quindi il valore percentuale delle dispersioni per il calore prodotto dal generatore si ottiene, per approssimazione, la quota fissa, mentre la quota variabile si ottiene per differenza.
In realtà, al di là di quale sia la soluzione migliore, è importante soprattutto avere delle risposte. Risposte che si spera arrivino a breve attreverso precisazioni da parte dell'ente normativo. Questo consentirebbe finalmente di ottenere un documento semplice e realmente completo, che consideri tutte le casistiche, soprattutto quelle frequenti come quella sopra discussa.
Ing. Alfero Daniele
Professional Team
Collaboratore Tecnico